AC Cobra 289: una belva feroce per veri piloti

AC Cobra 289
Screen shot da video European Collectibles

Auto come l’AC Cobra appartengono all’immaginario collettivo. Questa è una delle vetture più iconiche mai concepite dalla mente umana. Fra gli allestimenti, particolare interesse suscita quello firmato da Carroll Shelby, pilota e imprenditore statunitense di grande fama. Nella sua carriera sportiva, come driver, spicca il successo alla 24 Ore di Le Mans del 1959, su un’Aston Martin.

Il suo nome si lega strettamente all’AC Cobra, auto muscolare e vulcanica, con telaio inglese e motore statunitense. Chi ha la memoria lunga, ricorda gli appassionanti confronti in gara con le Ferrari. Erano tempi romantici, in cui l’automobilismo aveva una matrice diversa. La componente umana si intrecciava in modo più felice con quella tecnica.

Una Cobra speciale

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Carroll Shelby firmò il progetto dell’AC Cobra 289, entrata nella leggenda. In questo caso, sulla roadster britannica fu installato un motore Ford V8 da 4.7 litri, pari a 289 pollici cubi. Ecco spiegato il nome del modello. Tale unità propulsiva prese il posto di quella, con lo stesso marchio, da 4.2 litri (260 pollici cubi), che equipaggiava la versione precedente. Così l’auto era in grado di sviluppare una potenza massima di 275 cavalli a 5750 giri al minuto e una coppia di 423 Nm a 4800 giri al minuto, su un peso di circa 1000 chilogrammi.

Notevoli le performance, con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 5.8 secondi e una punta velocistica di oltre 220 km/h. I dati prestazionali divennero ancora più incisivi quando la potenza crebbe a 350 cavalli. Per accogliere il motore più corposo, fu necessario chiedere ad AC Cars qualche modifica al telaio. Il primo prototipo del modello giunse a compimento nel mese di gennaio del 1962.

Shelby voleva confrontarsi ad armi pari con le Ferrari. Ecco perché in gara il V8 fu portato a 400 cavalli. Per diversi anni, la Cobra 289 mise a frutto le sue doti con risultati luminosi nello scacchiere agonistico. Nel 1964 rischiò di portare a casa il FIA World Manufacturers Championship nella classe Gran Turismo. La produzione giunse al suo epilogo nel 1967, per problemi di ordine finanziario. Geniale l’intuizione di chi volle questa creatura: abbinare l’agilità dei telai inglesi alla potenza dei motori americani.

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