Un recente rapporto di Amnesty International, pubblicato in un documento di 102 pagine, denuncia come i produttori automobilistici non stiano affrontando adeguatamente i rischi legati alle loro catene di approvvigionamento minerario. Le comunità locali, vicine alle miniere di cobalto, litio, nichel e rame, restano estremamente vulnerabili a sfruttamento, danni ambientali e problemi di salute.
L’organizzazione ha esaminato le politiche sui diritti umani di 13 produttori di veicoli elettrici, assegnando loro punteggi su vari criteri, tra cui la gestione dei rischi, la trasparenza nelle catene di fornitura e il coinvolgimento con i fornitori. I punteggi sono stati dati su una scala da 1 (punteggio più basso) a 90 (punteggio migliore). I risultati non sono decisamente dei più incoraggianti.
Mercedes ha ricevuto il punteggio più alto tra i produttori citati nel rapporto della Ong, con 51 punti, seguita da Tesla con 49 e Stellantis con 42. Altri marchi come Volkswagen, BMW e Ford hanno ottenuto 41 punti. In fondo alla classifica, si trovano invece BYD, con soli 11 punti, e Mitsubishi (13) e Hyundai (21), che hanno mostrato significativi problemi di trasparenza nelle loro operazioni.
Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha dichiarato che questi punteggi rappresentano una “grande delusione” e ha criticato aspramente la mancanza di trasparenza di BYD, aggiungendo che Hyundai e Mitsubishi non hanno fornito informazioni sufficienti sulle loro politiche che tutelano lavoratori e ambiente. Nonostante il rapporto abbia dato a tutte le case automobilistiche la possibilità di commentare, alcune, proprio BYD e Mitsubishi, hanno anche rifiutato di rilasciare dichiarazioni.
Nel tentativo di affrontare queste problematiche e migliorare la visibilità delle catene di approvvigionamento, l’Unione Europea introdurrà dal 1° febbraio 2027 un “passaporto per le batterie”, obbligatorio per tutte le batterie di veicoli elettrici superiori a 2 kWh. Questo strumento si prevede avrà un impatto significativo sui produttori che desiderano vendere in Europa.
Secondo Gavin Harper, ricercatore presso l’Università di Birmingham, l’Ue, essendo un mercato rilevante per i veicoli elettrici, modellerà sicuramente le politiche di trasparenza e responsabilità dei produttori. Mentre alcune case automobilistiche stanno intensificando i loro sforzi per aumentare la tracciabilità, Volvo, ad esempio, ha adottato la blockchain per tracciare il cobalto nelle sue catene di fornitura.
Per citare altre iniziative simili di controllo da parte dei produttori, Mercedes collabora dal 2018 con RCS Global per monitorare i minerali nelle sue catene di approvvigionamento. BMW sta invece partecipando alla Responsible Cobalt Initiative per ridurre i rischi sociali ed ambientali nella sua filiera di cobalto, e Volkswagen ha imposto ai suoi fornitori di rispettare gli standard della Initiative for Responsible Mining Assurance.
Nel frattempo, la Repubblica Democratica del Congo, che produce circa il 70% del cobalto mondiale, continua a essere al centro di preoccupazioni per le condizioni di lavoro nelle miniere. Qui, spesso vengono impiegati bambini e adulti in condizioni di sfruttamento estremo. L’organizzazione attivista RAID ha documentato i danni ambientali e alla salute causati dall’estrazione del cobalto, inclusi effetti negativi sulle riserve idriche e sulla salute ginecologica delle donne. Le aziende minerarie che collaborano con i grandi produttori di auto, però, hanno respinto queste accuse sulle violazioni dei diritti umani.