Lancia Beta Montecarlo: una sportiva in scala

Lancia Beta Montecarlo
Foto da l’Automobile

La Lancia Beta Montecarlo era un’auto sportiva, il cui stile portava la firma di Paolo Martin per Pininfarina. Questa vettura fu prodotta dal 1975 al 1981, in due serie. Prese forma nei capannoni del noto carrozziere piemontese, in versione coupé e targa. Sebbene piccola nelle dimensioni, aveva un fascino esotico, che l’ha consegnata alla leggenda.

Oggi continua a far sognare molti appassionati, incuriositi dalla sua presenza nei raduni di auto storiche, unico contesto dove sembra relativamente facile incontrarla. Pochi gli esemplari in circolazione, perché questa creatura della casa torinese fu plasmata in soli 7.798 esemplari.

La Lancia Beta Montecarlo era spinta da un motore a 4 cilindri da 2.0 litri, disposto in posizione posteriore centrale. Questa unità propulsiva sviluppava una potenza massima di 120 cavalli a 6.000 giri al minuto, per un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 9.3 secondi e una velocità massima di oltre 190 km/h.

Dopo lo stop produttivo del 1979, giunse la seconda serie del modello, che perse la parola Beta dalla sigla. Alcune modifiche estetiche mettevano in evidenza il cambiamento. Fra queste, la nuova mascherina frontale, mutuata dalla Delta, e le pinne posteriori con triangoli vetrati, che agevolavano le manovre di parcheggio. Il motore fu rivisto e guadagnò una migliore erogazione della coppia motrice, per una guidabilità ancora più piacevole.

La versione Turbo del modello si mise in luce nell’universo agonistico, lasciando una bella traccia nella storia, a suon di successi nel Gruppo 5. Si trattava di una vettura silhouette, quindi solo l’estetica aveva dei richiami all’auto stradale. Qui la potenza massima si spingeva fino a 490 cavalli.

Tornando alla Lancia Beta Montecarlo di serie, uno degli elementi grafici più caratteristici era il frontale con fascia nera, per ridurre l’impatto visivo, nella vista laterale, del lungo cofano anteriore. Da questa vettura è derivata la mitica Lancia Rally 037 di Gruppo B. Anche qui, però, le similitudini erano solo estetiche, perché l’auto da gara era una belva di ben altro profilo ingegneristico e tecnologico.

Foto | L’Automobile

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